RECENSIONE DI ABAKISKOI: MARY SHELLEY, UN AMORE IMMORTALE (2018)






Figura 1 Locandina del film

Oggi parlerò del film, appena uscito nelle sale, di Haifaa Al-Mansour Mary Shelley. Un amore immortale, sul quale stanno già nascendo numerose recensioni contrastanti. Per alcuni, è un bellissimo film. Per altri, una prova cinematografica deludente. In questa diatriba, ho deciso di lasciare anche io il mio contributo…ma andiamo per ordine.
La pellicola racconta la vita di Mary Shelley fino alla pubblicazione del suo romanzo Frankestein e dei problemi relativi al riconoscimento del talento della scrittrice. Il romanzo comparve nel panorama editoriale in forma anonima poiché nessuno voleva dare alle stampe un libro scritto da una donna.
Il film ripercorre in sintesi questi momenti: l’adolescenza di Mary, i difficili rapporti con la matrigna, l’incontro con Shelley e la sua fuga con lui, la convivenza avvenuta mentre il poeta era ancora sposato con Harriet, il soggiorno in Svizzera con Lord Byron e Shelley, la pubblicazione di Frankestein ed i problemi relativi alla paternità dell’opera. 




Figura 2 Mary e Shelley.

Questi sono, a grandi linee, gli episodi della trama.
Passiamo ad un’analisi più approfondita della pellicola.
Si tratta di un prodotto carico di molte aspettative. Prima di tutto, è una pellicola realizzata dalla prima regista saudita della storia. Solo per questo, meriterebbe una certa attenzione, abbastanza da superare le ovvie ritrosie del film, dovute al fatto che la regista affronta un personaggio con il quale ha meno familiarità in termini di formazione. Un po’come se io mi mettessi a fare un film su Cixi (la nonna dell’Ultimo imperatore) e sulla sua scalata al potere. Non riuscirei, a prescindere dalle mie capacità, a riprodurre fedelmente il personaggio ed i suoi sentimenti perché parlerei di una cultura che non è mia. Una sensazione di estraneità simile è percepibile da questa pellicola che, comunque, si presenta come un’opera di buona qualità.
Elle Fanning offre una buona interpretazione del personaggio, proponendo una Mary a tratti granitica e tormentata.
Anche Douglas Booth nei panni di Percy Shelley fa il suo sporco lavoro, così come gli altri personaggi che, se da un lato danno, come prima impressione, l’aria di essere in un teen-movie, dall’altro mantengono una buona attinenza al quadro storico, soprattutto nella definizione della difficile condizione femminile dell’epoca.  L’equilibrio narrativo della vicenda regge perfettamente dall’inizio fino alla fine del film, riproducendo a tratti un Ottocento di maniera, sulla scia di Jane Eyre di Rossellini. Le scene che possono prestarsi ad un’atmosfera di carattere gotico, come quella del cimitero, sono tuttavia subordinate ad una lettura di carattere intimista, finalizzato ad esprimere la solitudine del personaggio e, soprattutto, la sua condizione di emarginata rispetto al contesto circostante.




Figura 3 Una delle scene canoniche: Mary nel cimitero dove è sepolta la madre.


Haifaa Al-Mansour è una registra molto impegnata nel campo dei diritti delle donne, un tema che rappresenta, di fatto, la sua cifra stilistica. Neppure la vita di Mary Wallstonecraft Godwin sfugge a questa chiave di lettura. Nel suo caso, l’obiettivo è quello di presentare una precisa evoluzione della protagonista: da adolescente incompresa con un talento ancora acerbo, a sposa innamorata di un poeta affermato, a scrittrice consapevole delle sue capacità e desiderosa di lasciare un segno nel panorama culturale al pari della madre. L’affermazione di Mary passa attraverso la scrittura ma perché ciò avvenga, la giovane deve trovare lo stile che meglio rappresenta la sua arte. In primo luogo deve affrancarsi dall’influenza del padre, il saggio intellettuale Godwin e, secondariamente, deve dimostrare agli editori di essere anch’essa una vera scrittrice, rendendosi indipendente dall’influsso letterario del marito e di Lord Byron.
La sceneggiatura dipinge la protagonista come un’adolescente inquieta, alla disperata ricerca del suo posto nel mondo. Attorno a lei gravita la figura di Shelley, un poeta di grande talento ma dotato di profonde debolezze e difetti che lo rendono subito umano, a tratti meschino. La scelta di seguirlo, da parte di Mary, sarà foriera di molte conseguenze e la porterà a frequentare intellettuali come Lord Byron. La loro immagine, permeata dagli eccessi e da un’estrema e distruttiva dose di egoismo li dipinge come un gruppo vizioso, animato da aspirazioni assolute ma allo stesso tempo egocentriche. A farne le spese saranno la prima moglie di Shelley e la sorellastra di Mary. Entrambe pagheranno la difficile relazione con questi scrittori.
Solo Mary riuscirà a salvarsi, grazie alla sua vena letteraria che le dà modo di esprimersi e di essere sé stessa.
I toni della pellicola sono fumosi, con una prevalenza dei toni grigi e marrone che esaltano l’aspetto etereo di Elle Fanning. Mancano scene truci e gli stessi eventi luttuosi, come il suicidio della prima moglie di Shelley, avvengono fuori scena, come in una tragedia classica. Nel film, il poeta abbandona letteralmente Harriet per Mary ma si tratta di una semplificazione cinematografica. Shelley, per molto tempo, mantenne vive entrambe le relazioni, tanto più che Harriet ebbe altri figli dal marito prima del suicidio. Per i personaggi maschili, fatta eccezione Mr. Godwin, la regista non offre un ritratto edificante da un punto di vista morale e, forse, alcuni aspetti sono esasperati per sviluppare meglio la statura di Mary. Ben marcata è l’insistenza sul desiderio del personaggio di affermarsi come scrittrice, per poter esprimere il suo pensiero e le passioni che la animano. Questa scelta non implica un’analisi del percorso letterario che ha condotto Mary al suo capolavoro.
Haifaa Al-Mansour racconta la nascita del romanzo come la sublimazione nella scrittura del grido di abbandono e della solitudine della scrittrice da parte delle figure maschili di riferimento della sua vita, ovvero Mr. Godwin e Shelley, ma non si limita solo a questo. La chiave di lettura del caso specifico della protagonista, in modo particolare la sua affermazione, acquista valore universale e diviene esempio per coloro che le stanno intorno e che desiderano, inconsciamente o volontariamente, di dichiarare al Mondo la propria esistenza.
Ciò non deve sorprendere.
Uno dei temi ricorrenti della sua filmografia, infatti, è la condizione della donna e la difficile lotta per poter realizzare le proprie aspirazioni in una realtà dove non vi è parità di sessi. Applicato alla vita di Mary, la storia acquista una chiave di lettura spiccatamente femminista, a scapito forse degli aspetti letterari.
L’erudizione del personaggio e l’interpretazione del cammino artistico che ha condotto alla scrittura dell’opera di Frankestein sono aspetti funzionali della dimensione individuale di Mary non come scrittrice ma come donna con delle aspirazioni e degli interessi letterari. E’ un’interpretazione interessante ma non sono certa che offra un ritratto fedele del personaggio né, tantomeno, ne rappresenti degnamente la statura intellettuale.
Voglio essere chiara. Una lettura in chiave femminista di Mary Shelley non è, in sé, un fatto negativo ma ne condiziona a priori l’interpretazione del personaggio, con una serie di forzature nella percezione generale. Nel caso del film, per esempio, la regista ha messo in evidenza come la scrittrice sia riuscita a vedersi riconosciuta la paternità dell’opera, malgrado i pregiudizi. E’ un’interpretazione buona ma non pienamente soddisfacente perché ridimensiona notevolmente la statura di Mary Shelley come scrittrice del movimento romantico.
Il mio timore, al termine della visione, è che passi uno di questi due messaggi:
1.      Mary Shelley è diventata una famosa scrittrice dell’Ottocento, pur una donna con tutte le limitazioni dell’epoca.
2.      Mary Shelley è diventata una scrittrice proprio perché donna.
Entrambe le chiavi di lettura, a mio parere, sono parziali e pericolose. Al pari di Ann Radcliffe, uno dei più grandi nomi del romanzo gotico, la Shelley è un grande nome della letteratura mondiale ma l’aggiunta del suo sesso può essere anch’essa un discrimine perché tutta la sua opera e la sua affermazione passano dai vincoli delle convenzioni e della subordinazione della donna nella società ottocentesca. In considerazione di ciò, si finisce inevitabilmente per ridimensionare la portata del contributo letterario dell’autrice che sfugge ad un’etichetta per essere nuovamente inserita in una nuova categoria: quella delle donne che ce l’hanno fatta malgrado.
A mio parere, questa interpretazione “eroica” è fuorviante. Un romanzo come Frankestein è un’opera dal respiro universale, che assorbe in sé tutte le peculiarità del Romanticismo europeo. Ha gettato le basi del genere fantascientifico, introducendo un topos che tuttora influenza la letteratura. Affermare oggi che anche una donna può scrivere un capolavoro del genere è, a mio parere, una frase senza senso…ma la percezione generale alla fine del film è, sotto molti aspetti, questa, per quanto sia anch’essa soggetta ad altrettante critiche. E’ come se la regista avesse affermato che le delusioni esistenziali di Mary abbiano infine trovato espressione nel romanzo di Frankestein, interpretando così l’opera come il grido di dolore e rabbia della sua autrice nei confronti delle persone che l’hanno rifiutata. Non avendo letto il romanzo, può darsi che sia questa la chiave di lettura ma vorrei comunque avanzare un certo scetticismo in merito a questo eccesso di personalizzazione, troppo ideologica a mio parere, così come l’interesse per la scienza ma questi argomenti hanno un ruolo minore nella pellicola.
Prevale la lettura esemplare ed edificante del personaggio che, pur essendo abbastanza fedele negli aspetti biografici, non si allinea pienamente alla sensibilità propria del romanticismo. Queste sono, a grandi linee, le mie sensazioni alla fine del film ma non posso dire che non mi sia piaciuto. Al contrario. E’ una pellicola che merita la visione perché ha saputo raccontare la storia di una grande scrittrice in un modo del tutto originale. La combinazione dei temi cari alla regista con il racconto cinematografico si allineano perfettamente, creando un prodotto estremamente godibile e piacevole.
Malgrado questo giudizio positivo, mi è impossibile ignorare le pecche di questa opera. Le ambizioni iniziali e gli obiettivi della regista non riescono a cogliere pienamente la statura letteraria della Shelley, offrendone una soluzione piacevole ma, di fatto, riduttiva. Forse non è possibile realizzare un film che ritragga tutte le sfaccettature di un personaggio come Mary Shelley ma occorre apprezzare il coraggio della regista che, strizzando l’occhio a Sofia Coppola, ha creato una buona pellicola.

Commenti

  1. Articolo interessante. Ero curiosa di vederlo, ora lo sono ancora di più. ☺️

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