RACCONTI DAL MEDIOEVO: LE COMUNITA' FEMMINILI CRISTIANE DEI PRIMI SECOLI


 RACCONTI DAL MEDIOEVO: LE COMUNITA’ FEMMINILI DEI PRIMI SECOLI


Contrariamente a quanto si pensa, la Chiesa non ebbe un atteggiamento misogino nei confronti delle donne, non più di quanto lo prevedesse la mentalità del tempo. Le donne erano considerate deboli per natura e, come tali, naturalmente predisposte a peccare. Per questo motivo, vi era una maggiore indulgenza nei loro sbagli, giudicati un’inevitabile conseguenza della loro inferiorità. La condanna che leggiamo nei testi, sebbene molto forte, infatti, era meno severa di quanto si riscontra invece nelle opere moralistiche nei confronti degli uomini, i cui errori erano oggetto di forti condanne. Proprio perché sembrava inevitabile per loro peccare, la scelta di aderire ai precetti della fede cristiana, così come erano tramandati dai Padri della Chiesa, appariva una scelta assolutamente eroica: la donna, ritenuta inferiore, ottenendo la Salvezza, acquisiva anche gloria e riconoscimento del proprio valore. In altre parole, il cristianesimo consentiva alle donne la possibilità di essere valorizzate come individui e non in funzione del gruppo familiare o di terze persone. Si trattava di una posizione quasi radicale per l’epoca ma non era una via semplice.
Percorrere quella strada voleva dire sottoporsi a rinunce e privazioni ma questa sofferenza fisica generava un’eco considerevole sulla comunità, la quale riconosceva valore alle donne che facevano questa scelta di vita. Alcune divennero figure molto ascoltate non solo dalla popolazione ma anche dalla comunità.
Questi fatti spiegano la ragione per quale ragione le donne, malgrado le posizioni delle opere letterarie dei Padri della Chiesa, siano state le più attive partecipanti al processo di diffusione del cristianesimo, operando l’opera di conversione all’interno della famiglia.  Con l’editto di Teodosio, il processo giunse alla sua conclusione, già espressa dall’Editto di Costantino. Se nella sua fase attiva, il cristianesimo aveva avuto nel martirio l’esempio più alto per ottenere la Salvezza. In seguito, con la conversione al cristianesimo, il modello non fu più quello del santo martire ma del santo che, conducendo una vita di privazioni, lottava contro il Peccato e le Tentazioni.
Questo tipo di via divenne molto popolare, soprattutto tra le donne.
Due erano le vie più praticate:
·         L’anacoretismo, ovvero gli eremiti.
·         il cenobio, ovvero le comunità.
Entrambe propongono l’allontanamento dal Mondo per cercare un ideale di preghiera e di ascesi. Le donne interpretarono questi precetti in un modo particolare che le distinse dagli uomini. A differenza di questi ultimi, la loro scelta non aveva spinte antisociali né era vicino al mondo rurale. Prima che questo modello si consolidasse, molte donne, vergini o vedove, seguendo i precetti di San Paolo, che invitava alla castità e alla preghiera, misero in pratica queste esortazioni all’interno delle mura domestiche.
Questo fenomeno era inizialmente spontaneo ma la sua popolarità spinse i Padri della Chiesa a pensare seriamente a questo processo, allo scopo di combattere le eterodossie. A questo scopo, posero sotto il loro diretto controllo il monachesimo femminile, fissando in primo luogo come caposaldo la questione della castità.
Molte erano le ragioni di questo interesse:
1.       Le monache vennero considerate un modello vicino e antagonista alla figura delle vestali, che erano molto popolari. La letteratura cristiana si impegnò a distinguere le due forme di vita religiosa, sottolineando la natura temporanea del sacerdozio delle vestali e la loro castità, esclusivamente fisica e non spirituale.
2.       Sottolineando come le monache sceglievano questa vita, a differenza delle vestali, la Chiesa si poneva come obiettivo di combattere la consacrazione precoce, imponendo come età minima i 20 anni.
I vescovi posero sotto la loro autorità le comunità femminili fin dall’inizio ma quest’ultime rimasero per molto tempo un fenomeno molto fluido. Solitamente le matrone più ricche, avendo a disposizione numerosi beni immobili, ospitavano al loro interno altre nobildonne che volevano seguire questa pratica ma l’ascesi e gli esercizi spirituali erano seguiti attraverso le indicazioni generiche della letteratura degli intellettuali della Chiesa ma non esisteva ancora un insieme di regole prestabilito. Tutto era affidato all’iniziativa delle matrone, che avevano avuto in passato un ruolo decisivo, ospitando i cristiani nelle loro dimore e guidandone spesso le discussioni.
Tra i primi a promuovere questo modello furono Ambrogio e Gerolamo, i quali non mancarono di consigliare le donne che desideravano percorrere questa via e di rassicurare le famiglie, non sempre favorevoli a questa decisione. Si trattava ancora di un monachesimo domestico o semidomestico, ancora affidato all’iniziativa delle donne e di coloro che le appoggiavano. Le matrone rinunciavano all’interno delle loro case ai lussi personali, praticando digiunti, preghiere e attività caritative.
In seguito, quando il fenomeno assunse una forma associativa, si creò la necessità d’introdurre delle regole per garantire la convivenza tra le singole donne. All’inizio, non vi fu una ricca produzione di regole, come nel versante maschile. In un primo momento, le regole ancora molto generiche della comunità maschile furono applicate a quella femminile, con qualche modifica e adattamento secondo il bisogno.
Le prime comunità femminili coinvolsero soprattutto i ceti dell’alta aristocrazia romana,che vantava ingenti capitali, necessari alla fondazione delle comunità. Si trattava di donne molto influenti, le cui scelte orientavano spesso la linea di condotta generale ed erano di conseguenza un motore ed un freno alle possibili sperimentazione. In questo processo, quasi mai le matrone fondatrici della comunità ricoprirono il ruolo di badesse ma mantennero un ruolo direttivo ufficioso, influenzando le azioni e le scelte grazie al peso economico che mantennero anche dopo essersi ritirate dal Mondo.
Le fonti, parlando di queste comunità, non spiegano molto sulla loro natura e organizzazione né, tantomeno, sulla posizione delle matrone che vivevano al loro interno. Solo a partire dal VI secolo possiamo parlare di un’organizzazione più rigorosa, con la prima regola monastica scritta, quella di Cesario di Arles.

Bibliografia
Franca Ela Consolino, Il monachesimo femminile nella tarda antichità, Codex aquilarensis. Cuadernos de investigación del
Monasterio de Santa María la Real (1989), pp. 33-45.
G. FRIGERIO-M. MAGATTI, Punti di luce nel deserto: santa Radegonda e il ruolo dei monasteri femminili nel Medioevo, Milano, 1995.

Commenti

Post più popolari